Naviganti

di Daniele De Michele aka Donpasta

con

Daniele Sepe, Giulia Bonaldi, Modesto Silvestri
con le voci di
Marco Revelli, Giustina Terenzi

Voce narrante
Fabrizio Gifuni

Artisti disperati, squattrinati, fragili e con un evidente senso di inutilità, che provavano a farcela…

Quando nell’agosto del 2020 tutto riaprì, dopo mesi di confinamento in casa, gli artisti furono gli unici a non riprendere normalmente il loro lavoro.

Nel tempo di un anno e mezzo, dentro e fuori il lockdown, Donpasta racconta la sua quotidianità intrecciata a quella di una scenografa disoccupata, un musicista senza spettacoli, un contadino poeta, documentando il modo in cui sono sopravvissuti a un conflitto esterno e interno.

Sentivano che in questa crisi le cose fragili avrebbero rischiato di scomparire. Avevano bisogno di un’idea per uscire dalle acque torbide e fu così che divennero… Naviganti.

Regia Daniele De Michele

Sceneggiatura Daniele De Michele

con l’amichevole collaborazione di Agostino Ferrente

produzione Apulia Film Commission e Fondazione Con il Sud nell’ambito del progetto “Social Film Production Con il Sud”

produzione esecutiva Audioimage srl

in partenariato con Arci Movie e Fermenti Lattici

prodotto da Antonio Borrelli, Daniele De Michele, Davide Mastropaolo

ufficio stampa PUNTOeVIRGOLA

durata 62’


PROTAGONISTI

Daniele Sepe è un importante musicista napoletano, come tutti messo in difficoltà dalla crisi. La sua storia inizia come tutti, con una suonata di sassofono via zoom e una riflessione amara sull’inutilità dell’arte.

Modesto è un contadino e pastore del beneventano, ma anche un poeta visionario. Era il personaggio principale del documentario “I Villani”, sul mondo rurale. Osserva il mondo dalla sua campagna selvaggia e incontaminata, ponendosi la questione fondamentale: riuscirà l’uomo a imparare la lezione?

Giulia Bonaldi è artista e illustratrice di Castiglione D’Adda, nella prima zona rossa
d’Italia. Coinvolta per le illustrazioni del film, racconta, con il regista, del dolore di aver perso tutti i lavori che avrebbe dovuto fare e delle preoccupazioni sul futuro del figlio ventiquattrenne. Lei, con un passato glorioso di scenografa nei più importanti teatri italiani, si ritrova nell’urgenza di sbarcare il lunario, prendendo il primo lavoro che le capita sottomano: fare le pulizie in un bar della periferia lodigiana. Una volta uscita dal lockdown, l’unica cosa che le importava era tornare a fare l’artista. Per farlo, ricomincia dalla strada.

Marco Revelli è sociologo del lavoro. Durante l’arco del film interviene per tessere una riflessione su Covid, capitalismo, arte e lavoro, intervistato da una giornalista radiofonica. Giustina Terenzi, di Controradio.

L’AUTORE | Daniele De Michele aka Donpasta

Dj, economista, appassionato di gastronomia, Daniele De Michele aka Donpasta è considerato dal New York Times uno dei più inventivi attivisti del cibo. Il suo primo film, “I Villani”, è stato presentato alle Giornate degli Autori e dopo un lungo tour nazionale e internazionale è stato presentato in prima visione su Rai3 come puntata speciale di Geo. Collabora con Geo&Geo (RAI3), La Effe, Fahreneith (Radio3). Nel 2014 ha pubblicato Artusi Remix (Mondadori), frutto di un lavoro condiviso con il Comitato Scientifico di Casartusi. Per Treccani e Corriere della Sera ha curato la serie web-tv “Le nonne d’Italia in cucina”, viaggio nelle venti regioni incontrando nonne in cucina. Il suo primo progetto, “Food sound system” è divenuto un libro, edito da Kowalski, e uno spettacolo multimediale che gira il mondo da ormai dieci anni. Nel febbraio 2013 ha pubblicato La Parmigiana e la Rivoluzione. Scrive regolarmente per Repubblica, Corriere della Sera, Left.

SOCIAL FILM PRODUCTION CON IL SUD

Ideata e promossa dalla Fondazione Con il Sud e dalla Fondazione Apulia Film Commission, “Social Film Production Con il Sud” è una iniziativa unica nel suo genere che promuove la collaborazione attiva tra società di produzioni cinematografiche e organizzazioni del terzo settore meridionale per raccontare il Sud Italia attraverso i suoi fenomeni sociali. Attraverso le due edizioni del bando, Apulia Film Commission e Fondazione Con il Sud hanno prodotto insieme 20 documentari e cortometraggi. www.socialfilmproductionconilsud.it

FONDAZIONE CON IL SUD

La Fondazione Con il Sud è un ente non profit privato nato nel 2006 per promuovere percorsi di coesione sociale e buone pratiche di rete per favorire lo sviluppo del Sud. In particolare, sostiene interventi per l’educazione dei ragazzi alla legalità e per il contrasto alla dispersione scolastica, e in generale per favorire il welfare di comunità.

In 14 anni sono state sostenute oltre 1.300 iniziative, e nel 2016 è stata costituita l’impresa sociale Con i Bambini, che ha per oggetto l’attuazione dei programmi del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. www.fondazioneconilsud.it

FONDAZIONE APULIA FILM COMMISSION

Istituita con legge regionale, Apulia Film Commission nasce nel 2007 con l’obiettivo di attrarre in Puglia produzioni audiovisive, di sviluppare professionalità e competenze su tutto il territorio regionale, incentivare lo sviluppo delle imprese che operano nel settore, fare attività di audience development e promuovere la cultura cinematografica in Puglia. Dal 2007 Apulia Film Commission ha accolto oltre 450 opere audiovisive, finanziandone – con Regione Puglia – più di 300 con oltre 16 milioni di euro, con una ricaduta economica di oltre 52 milioni di euro. Un impatto economico che sommato all’indotto generato sui territori, si assesta su oltre 100 milioni di euro. Tra gli autori che hanno girato in Puglia ci sono Ermanno Olmi, Paul Haggis, Matteo Garrone, Daniele Ciprì, Sergio Rubini, Patty Jenkins, Mario Martone, Goran Paskaljevic, Michael Bay e Carlo Verdone. www.apuliafilmcommission.com

NOTE DI REGIA

Questo film ha una debolezza che è la sua forza. Non era possibile scriverlo in anticipo. Si scriveva mentre le cose accadevano al mondo e alla gente. Ho seguito i protagonisti per un anno e mezzo, per capire come sarebbe cambiato il mondo e come, di conseguenza, le loro vite

Quando chiusero tutto la prima volta avevo la netta percezione che per gli artisti e i lavoratori dello spettacolo nulla sarebbe stato più lo stesso. Lo stavo vivendo sulla mia pelle, seduto sul divano, dopo venti anni passati a fare spettacoli in giro per il mondo. Lo sentivo sulla pelle delle centinaia di artisti con cui ho condiviso palchi e progetti. Avevo paura, per me e per loro…

All’inizio tutto era molto confuso, perché gli artisti non erano i soli a dover affrontare un periodo così duro. Cuochi, camerieri, guide turistiche, portieri d’albergo, precari, ambulanti: c’era tutto un mondo. C’era poi la consapevolezza che questa pandemia avesse delle cause legate profondamente al modo in cui vivevamo, e che non ci sarebbe stata se avessimo dato retta ai miei Villani, ai contadini resistenti che avevo studiato per anni andando in giro nelle zone più recondite d’Italia.

L’ambiente era fragilissimo e lo stavamo distruggendo.

Come tutti, ero chiuso in casa e avevo poco da fare, con una cinepresa appena comprata e lasciata nello scatolone e tante preoccupazioni. Avevo passato l’ultimo ventennio a friggere in ogni parte di mondo, fare pasta a mano, mangiare in casa delle nonnine, con la musica come sfondo. C’era un silenzio cui non ero abituato e la cosa mi turbava.

Fu così che iniziai a chiamare compulsivamente via zoom persone a me care, per sapere come stessero affrontando questo momento sconvolgente, e a fare decine di interviste via zoom: a sociologi, ambientalisti, medici, insegnanti, artisti. Mi ero concentrato su una lettera di una giornalista che raccontava Bergamo, il ventre della Bestia, in quei giorni. Si poneva lei questioni profonde sulle cause e le conseguenze di ciò che le stava succedendo, da malata chiusa in casa. Poi telefonai per giorni a una staffetta partigiana, per capire quale fosse il rapporto tra questa storia e la guerra, tra quel loro modo unico di difendere il paese dalla follia nazifascista e il modo che avremmo dovuto inventare noi, per rinascere. Ho decine di ore di un archivio che ho chiamato Anticorpi, in cui provavo a vedere delle luci in fondo al tunnel. Chiamai Gino Strada, Nadia Urbinati, Marco Revelli, Domenico De Masi per fargli prevedere il futuro. Ma niente, erano ovviamente presi alla sprovvista anche loro, con un misto di speranza e catastrofismo.

Chiamavo i miei amici contadini, come Modesto, protagonista di I Villani. A lui il mondo non era cambiato per niente. Faceva i suoi chilometri con le sue vacche, tra i suoi monti. Mi aveva avvertito anni prima. Guarda che andrete a sbattere. Così al telefono mi parlò dell’Arca di Noè che voleva costruire.

Soprattutto, chiamavo i miei compari artisti: musicisti, registi, maestranze, attori. Per molto tempo ho interrogato Daniele Sepe, musicista e compositore napoletano, per provare a trovare una sintesi. Vedevo nei suoi pensieri un baratro che altrove nessuno aveva il coraggio di guardare fino in fondo. La nostra inoccupazione era diversa dalle altre. Non era semplicemente un fatto economico. L’artista non rientra in nessuna categoria economica chiara, quindi niente cassa integrazione, niente ristori, niente disoccupazione. Nulla. Ma era il ruolo che la società ci dava che sembrava smarrito. Come se non esistessimo, come se non fossimo mai esistiti.

Avevo però a quel punto un gigantesco archivio di persone che avevano d’istinto pensato che non potevano soffermarsi sul loro semplice benessere personale, ma che avevano preso da spunto la loro personale condizione di fragilità, per porsi una questione più larga su come stesse andando il mondo, l’ambiente, il lavoro, la salute. Mi accorgevo che c’era qualcosa di forte da raccontare, da seguire, per capire in che direzione il mondo volesse andare.

Nel frattempo, filmavo da casa, come migliaia di altri registi. Non avevo granché da fare se non filmare la gente appollaiata sul terrazzo, filmavo le partite con mio figlio e la mia cucina. Ma avevo poche carte in mano: decine di chiamate su zoom e un po’ di immagini rubate qua e là. Servivano delle coperture che avessero un senso. Che fossero un controcampo ricco e coerente con ciò che gli intervistati dicevano. Come fare? Si parlava di tutto: di fabbriche, di sfruttati, di mascherine, di anziani, di morte. E io dal terrazzo vedevo ben poco.

Una delle persone che intervistai più spesso in quel periodo era Giulia Bonaldi, scenografa e pittrice. Era a Castiglione d’Adda, nella prima, originaria, zona rossa. Com’era successo a me, tutti i lavori che avrebbe dovuto fare le furono cancellati. Ci mettemmo a immaginare come raccontare per immagini questa storia. Nacque la storia a fumetti di Gina, mamma single, operaia, costretta a lavorare in piena pandemia. Pensavamo a cosa le sarebbe successo dopo, a che scelte avrebbe fatto. La seguivamo, come una protagonista, nel suo scoramento, nella sua necessità di lasciare il pupo a qualcuno mentre lei andava in fabbrica, nei suoi sogni d’amore, nella sua paura e frustrazione di lavoratrice senza protezioni sanitarie sufficienti. Decidemmo di farla partire, con il figlio, per sempre. Che avrebbe portato il figlio a vedere le cose belle dell’Italia. La vedemmo partire con il treno verso Sud, passeggiare tra i campi, andare al mare a giocare a palla, guardare il Vesuvio.

Sognare non costa nulla, ci dicemmo, ma in un certo senso il dubbio entrò in me. Cosa devo raccontare? L’impossibilità di un futuro grigio o la fantasia che ogni artista usa come grimaldello per uscire dal peggior pantano?

Poi ci aprirono. Lentamente la questione del mondo che cambiava si scontrava con la persistente immobilità della vita degli artisti. Quando nell’agosto del 2020 tutto riaprì, fummo gli unici a non riprendere normalmente il nostro lavoro.

Decisi così, con molta fatica, di serrare la ricerca e scegliere solo tre protagonisti: una scenografa disoccupata, un musicista senza spettacoli e un contadino poeta.

Li seguii per un anno e mezzo, secondo la tecnica classica del documentario. Vedendo come sopravvivevano a un conflitto esterno e interno. Con un solo piccolo ma non secondario dettaglio: all’inizio, per seguirli, erano ripresi con zoom. Ad apertura avvenuta, li andai a trovare, cominciando la seconda fase del nostro rapporto. Che cosa fai ora, una volta che tutto si è aperto? Nulla. Come sbarchi il lunario? Con enorme difficoltà.

Mancava qualcosa di importante. Non si capiva bene come dare un senso a questa cosa strana. Mancava un filo logico per un film che già era complicato di suo.

Fu così, che con molta reticenza, decisi di diventare il quarto protagonista. In fondo era vero, ero in difficoltà quanto loro, con i miei dubbi e le mie mille questioni. Ed è così che mi vidi obbligato a fare una scelta. Mostro la mia vita personale per quel che è, o ci gioco sopra? Devo davvero raccontare le mie noiose giornate tutte uguali a friggere e leggere?

Perché non mi mostro con la cinepresa? Me ne accorsi in ascensore. C’era uno specchio, così, io e la cinepresa, eravamo filmati assieme, mentre partivamo all’avventura a cercare di scoprire cosa ci fosse fuori. Mi rivennero in mente gli studi di clown che feci in Francia dopo che lasciai i miei studi di economia politica. In quel momento molto fragile della vita, l’immagine universale del clown che gioca, con delicatezza e ironia, con il fuoco del fallimento, mi aiutò a costruire il personaggio di donpasta, cuoco maldestro e caciarone. Ed ora che clown sarei potuto essere? Malinconico sicuramente, altrettanto maldestro, preoccupato per la società, ma incapace di avere una connessione stabile su internet il giorno del suo primo corso di parmigiana online. Ecco trovato l’escamotage.

Gli esseri umani vanno in difficoltà nelle tragedie, figurarsi in una pandemia mondiale. Il clown nelle tragedie ci sguazza, tanto più in una pandemia.

Così avevo infine trovato la quadra. Era un film su degli artisti disperati, squattrinati, fragili e con un evidente senso di inutilità, che provavano a farcela. Non solo per loro, perché l’artista non farebbe questo mestiere, ma per tutti.

Così la terza e ultima parte del mondo vede un musicista, una scenografa, un contadino poeta, un regista clown davanti alla questione leninista: che fare?

Così venimmo a capo di ciò che ci toccava fare per salvarci la pelle e il mondo. Fare i Naviganti.

Fu lì che capii che serviva una metafora, un metatesto da dare alla Voce narrante, Fabrizio Gifuni. Il film inizia così: Fu consumato l’ambiente, il clima. Il mare si trasformò il cimitero, in trappola per balene, in una immobile distesa nero pece. Poi arrivò una particella infinitamente piccola, scoperchiò il vaso di Pandora e il deserto si rivelò. I Naviganti, scrutarono la città deserta, in attesa che la tempesta si placasse.